Nel contesto della diffusione del Coronavirus, l’utilizzo dei supercomputer può affiancare la ricerca tradizionale, accorciando i tempi per lo sviluppo di farmaci.
Oggi, infatti, una delle grandi sfide della comunità scientifica internazionale riguarda l’”urgent computing”: relativo all’utilizzo dei più potenti supercalcolatori mondiali per supportare la ricerca quando, in condizioni di emergenza, il tempo è strettissimo, e le variabili in campo diventano troppe per poter contare solo sulle risorse della ricerca tradizionale.
Uno dei campi di applicazione dell’urgent computing è appunto la corsa contro il tempo per contenere la diffusione del Coronavirus.
Da un punto di vista italiano, nei confronti del COVID-19 la ricerca ha già messo in campo le proprie eccellenze, attraverso il lavoro dei ricercatori dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani di Roma ed ora è pronta a raccogliere la sfida anche da un punto di vista computazionale. Ciò sarà possibile tramite il supercomputer per la ricerca scientifica più potente in Italia: Marconi.
Questo strumento potentissimo è in grado di svolgere milioni di miliardi di operazioni al secondo e, già dall’inizio di febbraio, è stato programmato per lavorare sui dati del sequenziamento del Coronavirus messi a disposizione dai ricercatori internazionali.
Le basi per un vaccino
A livello mondiale è scesa in campo anche l’IBM grazie a Summit, un altro supercomputer che al momento è il più potente al mondo.
Nello specifico, due ricercatori americani (Jeremy C. Smith e Micholas Smith) dell’Oak Ridge National Laboratory hanno usato Summit per identificare 77 composti farmacologici detti “piccole molecole” che potrebbero stimolare ulteriori studi nella lotta contro il COVID-19.
Difatti, in farmacologia, con il termine “small molecule” si identifica una categoria di composti organici a basso peso molecolare e dimensioni inferiori a 1 nm, in grado di regolare un processo biologico. Rispetto alle altre categorie farmacologiche il loro vantaggio è quello di riuscire a legarsi efficacemente alle cosiddette “spike”, ovvero delle glicoproteine che infettano le cellule. In questo modo, le piccole molecole, legandosi alle spike dei virus, ne bloccano l’attività rendendoli innocui.
Basandosi sui primi studi effettuati dai ricercatori cinesi riguardo ai meccanismi di infezione, i due ricercatori statunitensi hanno prima costruito un modello della proteina spike del Coronavirus, chiamata anche S-proteina e poi simulato grazie al supercomputer oltre 8000 composti per selezionare quelli con maggiori probabilità di legarsi alla principale proteina “spike” del virus, identificandone appunto 77.
I composti sono poi stati classificati in base all’interesse che potrebbero avere negli studi sperimentali sul virus.
Nonostante questo grande lavoro, il viaggio verso la produzione di un vaccino efficace è tutt’altro che semplice. Difatti, i risultati ottenuti non comportano una cura o un trattamento definitivo per il Coronavirus.
Tuttavia, c’è molta fiducia per l’aver già trovato delle informazioni utili agli studi futuri e per aver individuato un quadro generale che gli sperimentatori potranno impiegare per indagare ulteriormente su questi composti.
In breve tempo il gruppo di ricerca dovrà eseguire nuovamente simulazioni al supercomputer, utilizzando un modello di Coronavirus aggiornato.
Una nuova analisi potrebbe perciò cambiare la classifica delle sostanze chimiche fondamentali per la creazione di un vaccino e questi risultati dovranno essere seguiti anche da esperimenti tangibili.
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