Musa Formazione

L’etimologia dell’hacker

PUBBLICATO IL: 28/06/2019   DA: Musa Formazione

Fornire una definizione precisa del termine hacker è un compito in realtà ben più complesso di quanto possa apparire. Il significato attribuito al termine ha infatti subito molti cambiamenti e trasformazioni determinati dal contesto storico, sociale, politico e normativo nel cui ambito si andava a collocare.

Tuttavia, la concezione comune di hacker è innegabilmente correlata ad un’accezione negativa, basta infatti fare una semplice ricerca sul web per constatare come la definizione più comune sia quella di pirata informatico.

In realtà la genesi del termine è un’altra e a quella bisogna fare riferimento per un corretto inquadramento del fenomeno.

Andando indietro con gli anni e con la storia, agli inizi del XIII secolo il termine hacker veniva utilizzato semplicemente come soprannome per riferirsi ai taglialegna o a coloro i quali creavano strumenti per tagliare.

Oggi, invece, il New Hacker Dictionary – compendio online dove sono raccolti i termini gergali dei programmatori – elenca ufficialmente nove diverse connotazioni per la parola “hack” e un numero analogo per “hacker”.

Questa moltitudine di significati appare contradditoria se si considera che la stessa pubblicazione include un saggio d’accompagnamento in cui un hacker del MIT (Massachusetts Institute of Technology) mette in guardia i lettori a non farsi deviare dall’apparente flessibilità del termine.

A prescindere dall’ampiezza della definizione, la maggioranza degli odierni hacker ne fa risalire l’etimologia proprio al MIT, istituto in cui il termine fece la sua comparsa nel gergo studentesco all’inizio degli anni ’50. Qui il termine “hack” veniva usato con un significato analogo a quello dell’odierno di scemenza o goliardata e per questo era implicito in tale definizione lo spirito di un divertimento creativo e innocuo.

L’utilizzo del termine in ambito informatico, invece, è attestato solamente attorno al 1975 e si afferma definitivamente, anche nel settore giornalistico, agli inizi degli anni Ottanta.

Già durante questa fase di passaggio dal dominio degli ingegneri informatici a quello prettamente giornalistico si verifica una prima contaminazione del suo significato e successivamente si realizzerà una seconda alterazione messa in atto dagli stessi hacker nel desiderio di prendere le proprie distanze dalle “mele marce”.

Hacker e cracker

In principio queste due figure erano pressoché uguali ma utilizzavano fondamentalmente due diversi processi per raggiungere i propri scopi.

L’hacker aggiungeva o applicava sezioni o bits di codice su un programma già esistente, al fine di procurarsi un videogame pirata e farlo girare senza doversi autenticare sul server. Quindi, tagliava (hack) pezzi di codice cambiandoli con dei nuovi da lui scritti.

Viceversa, il cracker era colui che apriva o meglio spezzava (crack) i programmi come se fossero delle noccioline per accedere ai loro contenuti.

Lo scopo, quindi, per questi due soggetti poteva essere lo stesso: era esclusivamente il processo, la successione di passaggi impiegata, che li differenziava l’uno dall’altro.

Da un punto di vista semantico, oggi la definizione di questi due vocaboli è cambiata: il termine hacker  ha inglobato quello del cracker e la differenza tra queste figure si è assottigliata  e concentrata esclusivamente sui valori e sugli intenti che li accomunano. Perciò, la suddivisione linguistica sopracitata si è del tutto persa nel passaggio al linguaggio giornalistico e, di conseguenza, anche in quello comune.

Il risultato è che generalmente l’hacker viene inteso come l’esperto di computer.

È importante evidenziare, tuttavia, che la parola hacker è pur sempre di derivazione inglese e, pertanto, ha subito e continuerà a subire un processo di ulteriore trasduzione per essere compreso dalla lingua italiana. L’hacker, quindi, può essere considerato un termine il cui significato si sta tramutando dall’accezione negativa attribuita alla comunità di appartenenza a quella più “neutrale” e meno superficiale determinata da fattori culturali derivanti, ad esempio, dai testi cinematografici o letterari.

Egli però rimane ancora un personaggio sul confine che partecipa al conflitto tra la società – da lui ritenuta come barbara – e la rete intesa come realtà autentica nonché sua sfera di appartenenza.

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